Concordato preventivo biennale: errare humanum est, perseverare autem diabolicum!
C’è qualcosa da salvare nel concordato preventivo biennale, inopinatamente riproposto dopo vent’anni dal primo tentativo? Difficile rispondere positivamente, se solo si prende atto che l’istituto si fonda sulla tassazione di redditi/valori aggiunti prodotti diversi da quelli effettivamente conseguiti, in un contesto in cui è difficile attribuire al consenso prestato dal contribuente una qualche efficacia sanante del vulnus collegato alla differenza tra le basi imponibili effettive e quelle concordate. A ciò si aggiunga che emergono in modo palese dall’attuale assetto normativo, in parte rivisto (e peggiorato) con il decreto correttivo della delega fiscale, sia le discriminazioni tra chi ha aderito e chi, invece, ha rifiutato la proposta del Fisco, con effetti distorsivi anche sulla concorrenza, sia, per effetto dei meccanismi di recente introdotti per rendere più attrattivo il concordato, quelle tra gli aderenti all’istituto, in ragione del fatto che il prelievo fiscale risulta più contenuto proprio in capo a chi di meno lo meriterebbe perché di più ha evaso nei periodi antecedenti all’accordo con il Fisco.
