Perché l’IA non ucciderà i servizi professionali, ma li fratturerà per sempre

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di Fabio Moioli

Un avvocato conosceva la legge, un commercialista il codice tributario, un consulente i framework strategici. Questa asimmetria informativa costituiva il loro moat, il fossato difensivo a protezione del business. Oggi, quel fossato viene prosciugato dall’implacabile marea dell’Intelligenza artificiale.

La narrazione prevalente oscilla tra visioni utopiche di produttività potenziata e paure distopiche di obsolescenza di massa. Entrambe le previsioni, tuttavia, peccano di semplicismo.

L’Ai non è un evento singolare che solleva o affonda tutte le barche allo stesso modo. È, piuttosto, una potente forza di frattura, capace di scindere il mondo dei servizi professionali in futuri distinti e divergenti. La faglia lungo la quale avverrà questa rottura non sarà determinata dalla sola competenza tecnica, ma dalla natura fondamentale dei dati utilizzati e dall’ineffabile, insostituibile valore della fiducia umana.

Per comprendere il futuro, dobbiamo smettere di guardare alle professioni come entità monolitiche e dissezionarle in tre cluster emergenti: i veri advisor (che fanno leva su dati proprietari), gli esperti della conoscenza (che si basano su dati pubblici) e la vasta, trasformativa terra di mezzo ibrida.

I veri advisor

In questo cluster, i servizi professionali di consulenza non solo sopravviveranno, ma diventeranno probabilmente più preziosi e ricercati che mai. I loro asset primari non sono le informazioni di pubblico dominio o i processi replicabili, ma sono costruiti su decenni di relazioni coltivate, accesso a informazioni confidenziali e quel tipo di giudizio ricco di sfumature che non può essere codificato. Per essi, l’Ai è uno strumento di grande valore, mai un sostituto.

Prendiamo l’executive search per c-level e board. Il vero valore qui non risiede nel fare scraping su LinkedIn o scansionare database pubblici. Risiede nell’intelligenza collettiva della firm: la capacità di mobilitare relazioni di fiducia, condurre referenze discrete attraverso network confidenziali e interpretare le dinamiche sottili, spesso non dette, all’interno del team di leadership di un cliente. Si tratta della credibilità necessaria per ingaggiare in conversazioni significative anche gli executive di maggior successo (che non stanno cercando lavoro) e del giudizio per consigliare board e ceo con lungimiranza. Il dato che conta è il capitale relazionale dell’azienda — un archivio di legami, intuizioni ed esperienze — e l’approccio consulenziale e strategico che trasforma questa conoscenza in un impatto reale sulla leadership. Creare quella fiducia che permette di dare veri consigli, anche quando non attesi e magari controversi.

Questo principio si estende ai vertici di altri settori:

  • Advisory m&a d’élite: sebbene l’Ai possa eseguire la due diligence su una data room con velocità sovrumana, non può sedersi con un fondatore per aiutarlo a navigare il tumulto emotivo della vendita del lavoro di una vita. Non può negoziare una pace fragile tra due potenti ceo i cui ego minacciano di far deragliare un accordo multimiliardario. Il valore dell’advisor è il suo ruolo di confidente fidato e stratega, che opera con informazioni che non saranno mai scritte nero su bianco.
  • Strategia legale ad alto rischio: l’Ai può analizzare ogni precedente storico. Ma non può guardare negli occhi una giuria, costruire una narrazione che risuoni con la loro esperienza umana o percepire il sottile cambiamento nell’atteggiamento di un giudice. La valuta del grande avvocato penalista o civilista è la credibilità, la presenza scenica e l’arte della persuasione.
  • Consulenza strategica bespoke: non stiamo parlando di framework di efficienza operativa trasformabili in algoritmi. Parliamo del consulente esperto chiamato da un consiglio di amministrazione per navigare una crisi esistenziale. Il loro lavoro implica facilitare conversazioni brutalmente oneste, costruire consenso politico per cambiamenti radicali e agire come cassa di risonanza per un ceo solitario. Qui, l’elemento umano non è un bug: è l’intero sistema operativo. Il vero advisor è un consigliere, uno stratega e un custode di segreti; un fossato che nessun algoritmo può attraversare.

Gli esperti della conoscenza

È qui che si avvertirà la vera disruption. I servizi in questo cluster sono fondamentalmente costruiti sull’elaborazione, l’analisi e la sintesi di vaste quantità di informazioni pubbliche o semi-pubbliche. La loro value proposition è sempre stata radicata nel lavoro labor-intensive di trovare, organizzare e applicare regole a questi dati. Questo è esattamente ciò in cui l’AI, in particolare i large language models (Llm), eccelle.

  • Le attività di base legate al mondo del diritto: Una parte significativa del lavoro legale comporta compiti maturi per l’automazione. Il processo di setacciare milioni di documenti alla ricerca di prove è già pesantemente guidato dall’Ai. I contratti di locazione o standardizzati possono essere redatti più velocemente e con maggiore precisione dalle macchine. L’Ai è perfettamente in grado di riassumere molti statuti e suggerire in molti ambiti di giurisprudenza.
  • Il motore di compliance della contabilità: La contabilità è costruita su un insieme strutturato di regole applicate ai dati finanziari. La compliance fiscale per la maggior parte degli individui e delle imprese è un caso d’uso perfetto per l’Ai, e l’audit sarà probabilmente trasformato.
  • Recruiting di volume: Il sourcing di candidati da profili pubblici, lo screening dei cv basato su parole chiave e persino la conduzione di interviste iniziali basate su testo sono compiti che vengono già trasferiti a piattaforme hr tech potenziate dall’Ai.

Per i professionisti in questa arena, la minaccia è esistenziale. Continuare a fatturare a ore per compiti che l’Ai può svolgere in secondi è un modello di business insostenibile. Il futuro per loro non risiede nell’eseguire il processo, ma forse nel gestire, verificare e assumersi la responsabilità dell’output dei sistemi automatizzati.

La terra di mezzo ibrida

Non si tratta di una distinzione binaria netta. Il cluster più grande e dinamico sarà quello intermedio, dove umani e macchine lavoreranno in una partnership simbiotica, spesso definita modello centauro. I professionisti qui prospereranno scaricando sull’AI le componenti automatizzabili del loro lavoro basate su dati pubblici, liberandosi per raddoppiare sugli aspetti antropocentrici e fiduciari dei loro ruoli.

Il professionista ibrido usa l’Ai per rispondere al “cosa“, permettendogli di concentrarsi sul “quindi?” e sul “adesso?“. Il loro valore risiede nella sintesi, nel giudizio, nella comunicazione e nella leadership del cliente. Sono l’essenziale human-in-the-loop, che fornisce l’ultimo miglio di contesto, etica e visione strategica che le macchine non possono offrire.

Uno sguardo al futuro

Comprendere questo framework a tre cluster è critico per ogni professionista e ogni azienda. La strada da percorrere non è cercare di rendere il proprio lavoro “a prova di AI” resistendo alla tecnologia, ma valutare criticamente dove risiede il proprio vero valore differenziale in questo nuovo futuro in cui stiamo entrando.

La vera domanda non sarà più “L’Ai prenderà il mio lavoro?”. Diventata: “Quali parti del mio lavoro posso cedere all’AI per potermi concentrare su ciò che è, e sarà sempre, fondamentalmente umano?”

L’articolo Perché l’IA non ucciderà i servizi professionali, ma li fratturerà per sempre è tratto da Forbes Italia.

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